1.
Caratteristiche
architettoniche e costruttive dei piloni votivi presenti in Valle Varaita.
Il più antico
pilone presente in Valle Varaita sorge a Piasco in prossimità dell’antica
chiesa di San Giovanni. Venne eretto nel 1472 secondo quanto si riusciva a
leggere, alcuni anni fa, dall’iscrizione conservata sulla facciata volta a
settentrione. Il pilone ha una struttura a pilastro a pianta quadrata con il tetto coperto da lastre di pietra e
una croce sulla sommità. Le quattro facciate, affrescate, non presentano
nicchie, il lato rivolto verso la strada principale doveva essere il più
importante ed era affrescato con l’immagine della Madonna.[1]
Sempre in bassa
Valle Varaita, verso la metà del XVI secolo, tra il paese di Venasca e di
Piasco, sono ricordati quattro piloni scelti come punti di riferimento per la
lettura di brani della Passione durante la Settimana Santa; e, sempre in questa
zona, in una carta del 1685 che illustra il tracciato del “bedale” del Corso di
Saluzzo sono raffigurati due piloni scelti per la loro posizione come
riferimenti topografici[2].
Per l’alta Valle
Varaita, sappiamo che il vescovo Tornabuoni, autorizzò nel 1533 la costruzione
di un oratorio con le immagini di S. Sebastiano e S. Rocco sul Colle di Elva[3]
pilone votivo di cui rimane solo più il ricordo.
Tra i più antichi
piloni presenti nelle vicinanze del comune di Sampeyre, vi è quello di
“Losiera” (Rore) ai confini tra Frassino e Sampeyre fatto costruire nel 1723 da
Domenica Matteodo, è un pilone a nicchia, la facciata centrale è affrescata con
l’immagine della Madonna con Bambino con accanto San Chiaffredo.
È con il XVIII
secolo, quindi, che iniziano ad aumentare gli esempi di piloni votivi la cui
diffusione interessa anche la media ed alta Valle Varaita, anche se la
produzione presenta un andamento irregolare con un certo numero di picchi più
consistenti che altri.
Essendo il pilone,
nella maggior parte dei casi, un ex-voto, si può notare come la popolazione, in
determinati periodi storici in cui ha subito particolari disagi, sia ricorsa
più intensamente alle intercessioni divine realizzando un maggior numero di
opere votive. Gli anni dal 1780 al 1820, sono un periodo molto difficile,
gravato dalle carestie e dalle guerre napoleoniche, con conseguenti pericoli
come malattie, contagi e timori per i familiari coinvolti nei conflitti. Tutto
l’‘800 è soggetto a depressione economica favorita da un’abnorme espansione
demografica; negli anni tra il 1840 ed il 1860 e, con fasi alterne in tutta la
metà del secolo, la valle è più volte colpita dal colera. La febbre spagnola e
la prima guerra mondiale hanno generato il picco tra il 1910-1930, mentre è
conseguenza del ritorno di emigrati, l’incremento delle realizzazioni votive
tra il 1950-1960.
I piloni si
possono raggruppare in base alle caratteristiche morfologiche più generali
nelle seguenti categorie[4]:
·
Croci: in legno, pietra o ferro battuto infisse a terra o su colonne
di pietra. La croce sostituisce l’albero sacro, come supporto del divino,
perché è essa stessa il vero sostegno di Cristo.
(In Valle Varaita
caratteristiche sono le croci in pietra di Villar e Villaretto di Sampeyre e
quelle in legno di Bellino).
Fig. 4. Croce in pietra di
Villar.
Fig. 5. Croce in pietra di Villaretto.
·
Pali o colonne: composti da una base in pietra o marmo, con
fusto alto e sottile in pietra lavorata, per lo più a sezione circolare, con
capitello su cui solitamente poggia una statua.
·
Pilastro: costruito in pietre mattoni e calce, su base quadrata,
triangolare o trapezoidale, ha un plinto in masselli litoidi, un corpo ripieno,
più snello nel 1700 e più tozzo nel 1800, e racchiuso in alto da una cornice
aggettante, sormontato dal tettuccio a piramide e dalla croce. È il tipo più
comune nella zona presa in esame, dove è conosciuto con il nome di “pilone”.
·
Edicola: piccola costruzione esteriormente molto simile alla precedente,
ma impostata con un’altra tecnica strutturale: su una base più o meno consistente
si innalzano due o tre pareti (a seconda se la base è quadrata o triangolare),
chiuse in alto da una volta ed aperta sulla parete mancante in una porta arcata
sovente chiusa da un cancello, il tutto è coronato da cornice, da tettuccio a
capanna e croce. Questo tipo di costruzione, quando è di dimensioni maggiori,
diventa una vera e propria cappella con altarino e in alcuni casi finestre
laterali. Molto spesso assolve alla funzione di pilone processionale,
particolarmente adatto per le soste delle processioni del “corpus Domini”. (“Piloun Ro di Baro” Madonna delle Grazie,
borgata Barra, Sampeyre).
I materiali di cui
i piloni votivi sono costituiti sono tutti locali, in genere i più facilmente
reperibili nella zona della costruzione, ed anche i meno costosi: pietre, terra
impastata, sabbia, calce (più tardi anche il cemento), raramente mattoni,
legno, ferro per la croce e il cancello. Le strutture sono realizzate in
muratura di pietra o mattoni lasciati a vista nei piloni costruiti fino agli
anni ‘20 del 1900 o intonacati in quelli più recenti. Le coperture possono
essere in lastre di pietra (in Valle Varaita si usava e si usa molto la “làuzo”[5]),
in tegole laterizie e in anni recenti, in calcestruzzo o fibrocemento.
Il più delle volte
erano gli stessi committenti che lavoravano a costruirsi il pilone con il
muratore del posto, quasi sempre senza specifici progetti; per i piloni di una
comunità i vari capifamiglia concorrevano alla costruzione fornendo manodopera
e materiali.
La decorazione
veniva affidata a pittori itineranti, specializzati nell’esecuzione di pitture
di soggetto religioso nelle cappelle e nelle chiese della zona, di questi
alcuni sono anonimi, di altri si conoscono i nomi e qualche notizia biografica.
Proprio perché
costruiti senza ricorrere a maestranze specializzate nella maggior parte dei
casi i piloni risultano di fattura semplice e privi di particolari elementi
decorativi.
La forma dei
piloni, pur essendo molto varia, è caratterizzata da una compatta struttura a
pilastro nella quale possono aprirsi nicchie più o meno profonde con arco o a
tutto sesto o a sesto acuto o semplicemente di forma rettangolare; la sezione
può essere quadrata, rettangolare, a pianta circolare o triangolare, vi sono anche
piloni di forma più elaborata con colonne, lesene, fregi e pinnacoli. In alcuni
casi i piloni risultano addossati o incassati totalmente o parzialmente in muri
di cinta o in facciate di abitazioni, a volte tali edicole sembrerebbero essere
preesistenti all’atto della costruzione dell’edificio e pare che il
proprietario abbia voluto conservarle. (“Piloun
del Patroun”, Villar, Sampeyre).
Le dimensioni dei
piloni variano, nella maggior parte dei casi, in pianta fra circa 1 e 2 metri,
mentre l’altezza è compresa fra i 2 e 3 metri. Non mancano esempi di piloni di
dimensioni anomale, sia molto più grandi, sia più ridotte; a volte gli
interventi di sistemazione dell’attigua sede stradale possono determinare
l’interramento di una parte del pilone che viene così ad assumere un nuovo
aspetto.
Dal punto di vista
costruttivo possono distinguersi piloni di forma aperta e piloni di forma
chiusa[6].
Piloni a forma aperta: presentano una nicchia centrale a fondo
piano o curvo posta generalmente a circa un metro da terra la cui apertura è a
volte protetta da un’inferriata o da un serramento di legno, il lato posteriore
è piano o curvo, la parte superiore può essere piana, a botte o a semi catino,
possono essere presenti nicchie laterali di profondità variabile ma sempre
inferiore all’incasso principale. Gli affreschi sono localizzati solitamente
sulla parete di fondo, sui lati e sulla volta, la forma della copertura è a due
spioventi, salvo eccezioni come nei piloni a pianta circolare, sormontata da
una croce in ferro.
Tra i piloni a
forma aperta si distinguono:
·
Piloni a
pianta quadrata o rettangolare con nicchia sulla facciata.
·
Piloni a
pianta quadrata o rettangolare con nicchia sui lati contrapposti.
·
Piloni a
pianta circolare con nicchia interna (“Piloun
Ser la Crous”, Villar).
·
Piloni a
“vela” con nicchia (pilone in cui la struttura a pilastro è sostituita da
quella a “vela” formata da un semplice muro o da due o più muri intersecantesi
tra loro, sulla facciata principale può aprirsi una nicchia).
Piloni a forma chiusa: piloni costituiti da un corpo compatto, su
ogni lato del corpo ristretto è ricavata una nicchia poco profonda (10-15 cm.
ca.) di forma rettangolare nella quale sono disposti gli affreschi. La
copertura più comune è a quattro falde, sormontata da una croce in ferro.
In base alla
pianta si distinguono:
·
Piloni a
pianta quadrata o rettangolare.
·
Piloni a
pianta triangolare.
·
Piloni a
pianta rotonda (unico esempio nella zona di Sampeyre è il “pilone rotondo” di
Becetto, definito nella toponomastica locale “Piloun Riound”: pilone votivo a base cilindrica in muratura, priva
di figurazioni, con, sulla sommità, una croce lignea).
·
Piloni
del tipo a “vela” (pilone in cui la struttura a pilastro è sostituita da quella
a “vela” formata da un semplice muro o da due o più muri intersecantesi tra
loro sulla cui facciata sono stesi gli affreschi).
Nei piloni
costruiti fino intorno agli anni Venti del 1900 le raffigurazioni dei Santi
sono eseguite direttamente sulle pareti interne della nicchia: a causa
dell’impiego di colori all’acqua, privi di collante, tali dipinti tendono a
svanire, risultando quasi illeggibili e in cattivo stato di conservazione. Nei
piloni più moderni e in quelli ristrutturati, invece, l’arredo è comunemente
costituito da statue e quadretti votivi. In alcuni casi anziché una nicchia il
pilone può presentare una cavità interna fino a terra, così da permettere
l’accesso diretto all’interno dove si trova un piccolo altare, su cui
appoggiare statuette, fiori, candelabri, ecc.
Il modello di
pilone che con maggior frequenza s’incontra in Valle Varaita, riferibile ad
esempi sette-ottocenteschi, si presenta come una massiccia struttura a
parallelepipedo sormontata da un tetto in lastre di pietra (làouze) a due o quattro spioventi più o
meno aggettanti. Il tetto è talora sormontato da una croce di ferro battuto,
anche se molti ne sono privi si può comunque ipotizzarne la presenza.
La facciata
principale reca, nel caso di pilone a forma chiusa, la raffigurazione della
divinità principale, solitamente la Madonna, posta sulla parete immediatamente
visibile dalle vie d’accesso al pilone. Nei piloni a forma aperta, questa
raffigurazione è collocata sulla parete di fondo della nicchia mentre sui lati
brevi della stessa si trovano una o due figure di Santi. La volta della nicchia
è quasi sempre occupata dalla raffigurazione dello Spirito Santo rappresentato
sotto forma di colomba bianca su fondo dorato o azzurro. L’interno della
nicchia presenta una mensa in pietra che può essere utilizzata come altare nel
caso della celebrazione di sacre funzioni; generalmente questo ripiano è
occupato da vasi di fiori, lumini, piccoli candelabri, immagini sacre ed anche
quadri votivi. Il vano è solitamente chiuso da una cancellata di ferro o di
legno.
La fronte del
basamento al di sotto della mensa può essere decorata con motivi geometrici o
floreali talvolta racchiudenti entro un cartiglio una breve preghiera. La
porzione centrale del timpano, di forma triangolare, è solitamente occupata
dalla figura di Dio Padre in atteggiamento benedicente o, in alcuni piloni,
dalle raffigurazioni trinitarie extracanoniche[7]
(Sampeyre, frazione Rore “Piloun Pra di
Sazio” (Chiolavaccia), “Piloun ‘co di
Berjo” (Co di Bergia), “Piloun meire
Barbarin” (meire Barberino)).
Fig. 9. “Piloun Pra di Sazio” (Chiolavaccia). Fig. 10. “Piloun ‘co di
Berjo” (Co di Bergia).
La parete
posteriore non è quasi mai affrescata, solitamente è lasciata grezza o
intonacata, e a volte presenta una grande croce dipinta che occupa tutto lo
spazio a disposizione.
Le iscrizioni,
poste sul timpano, ai lati della figura di Dio Padre o sotto la cornice (ma
anche all’interno sulle pareti laterali della nicchia) riportano solitamente il
nome del committente, l’anno d’esecuzione, e talvolta, la motivazione
dell’erezione del pilone.
Le figure dei
Santi in molti casi sono identificabili grazie al nome tracciato accanto ad
esse. Il nome dell’autore degli affreschi e la data di esecuzione, quando
compaiono, sono posti in alto all’interno della nicchia o sulle pareti
laterali.
Nella
toponomastica popolare, i piloni presenti in Valle Varaita sono contraddistinti
con una specifica denominazione, non sono quasi mai anonimi perché sono
importanti elementi caratterizzanti il paesaggio, punto di riferimento viario,
religioso e culturale.
I piloni possono
essere identificati con il nome di una vicina borgata (la quale a sua volta
prende il nome dalle famiglie che qui abitavano)[8]
o con la denominazione della frazione o piazza in cui sorgono.
Lontano dai centri
abitati i piloni votivi assumono il nome del luogo in cui sono eretti: sul
sentiero che da Villar conduce alla borgata Balma L’Olmo (“Barmo L’Ourme”), nel
luogo dove si trovava la frazione prima dell’ alluvione del 1655[9],
sorge un pilone indicato come “Piloun di
nàis”. I nàis nella lingua locale
sono i maceratoi della canapa (erano costituiti da lunghi vasconi rivestiti da
lastre di pietra per i quali occorreva un’acqua lentamente corrente[10]);
come in molte altre zone della valle, anche qui ogni famiglia aveva un suo
appezzamento destinato alla coltivazione della canapa e la borgata aveva il suo
nài: quindi il pilone costruito in questa zona ha fatto proprio il
toponimo.
Un altro esempio è
il pilone “Pian Ciariere” situato
poco fuori la borgata di Calchesio sulla strada che la unisce a Villaretto. Il
toponimo è riferito alla zona circostante, in particolar modo ai prati che dal
pilone (posto all’angolo del terreno) si estendono fino alla borgata di
Villaretto.
A Foresto di
Sampeyre invece il toponimo “Lou Piloun”
è riferito a tutta la zona circostante l’edicola.
I piloni possono
anche assumere il nome in base alle caratteristiche costruttive: come il “Piloun Riound” (Pilone Rotondo) di
Becetto o il “Piloun Rous” (Pilone
Rosso) di Rore, il quale deve il suo nome al colore rosso con il quale alla
fine del 1800 è stato dipinto; o in rapporto a determinati eventi, come il “Piloun dla rùino” di Confine di
Sampeyre, così chiamato perché in quel punto ci fu una frana[11]
(rùino in lingua locale).
Più antica é la
denominazione di Pilone del Castello a Rore (“Piloun dal Chastel” meglio conosciuto come “Piloun Rous”) già
attestata nel Settecento a ricordo di un antico posto di guardia altomedioevale
ora distrutto[12].
Anche le
raffigurazioni presenti nei piloni votivi, alcune volte, possono essere
utilizzate per identificarli, ad esempio il pilone di borgata Barra è detto Madonna delle Grazie, quello della Roccia di Sampeyre viene
indicato come “Piloun San Bernard ‘l
viei” (pilone San Bernardo il vecchio).
A certi piloni
inoltre sono collegati racconti popolari che ne tramandano il motivo
dell’erezione, come il pilone del ponte di Cros, a monte di Frassino, fatto
erigere nel 1876 da alcuni viaggiatori come ex voto per essere usciti sani e
salvi dall’incontro con un basilisco, un rettile fantastico di cui si
favoleggiava la presenza in valle[13].
Da una
descrizione di fine Ottocento delle pitture del pilone, apprendiamo che gli
affreschi erano così distribuiti: sul lato lungo la strada, a ponente, Madonna
in trono con il Bambino datata 1472; sul lato verso il paese, San Secondo martire
tebeo, “il nome è scritto in caratteri gotici sull’arco con altre parole
illeggibili”; sul lato volto ad oriente: San Sebastiano “ed accanto una figura
guasta dal tempo: vi si vede un campanello”. L’altro lato era occupato dalla
figura di San Nicola da Tolentino recante la data di canonizzazione del Santo
(1445). Quest’ultimo affresco venne staccato il 10 settembre 1889 e donato dal
Comune al Marchese Emanuele Tapparelli in segno di gratitudine per l’offerta di
100 lire destinate al locale asilo. Il Tapparelli destinò la pittura al futuro
museo di Casa Cavassa dove si trova ancor oggi. L’opera è attribuita a Pietro
da Saluzzo. (A. De Angelis, La sacralizzazione del territorio cit.,
p. 111. C.F. Savio, L’antica chiesa di
San Giovanni Battista in Piasco, Saluzzo (Cn), Martini, 1899, p. 24 G. Bertero, G. Carità (a cura di), Il museo civico di Casa Cavassa a Saluzzo,Torino,
Regione Piemonte, 1996, p. 40 e p. 43 nota n°18).
Archivio Comunale di Saluzzo, E 27-32,
1685. Tippo del bedale del Corso della
città di Saluzzo.
A. De Angelis, La sacralizzazione del territorio cit., p. 111, nota n°13.
C. F. Savio, Saluzzo e i suoi vescovi, (1475-1601), Saluzzo (Cn), Tipografia F.lli Lobetti-Bodoni, 1911, vol. I, p. 187.
I Pilôn:
momenti di religiosità e tradizione popolare a Cuneo, (mostra documentaria)
in “Cuneo notizie”, Cuneo, 1982, pp. 11-12.
Le scaglie di pietra usate nella copertura del tetto vengono dette “lose” in Piemonte, “piode” in Lombardia e “lastre” in Veneto. (G. Doglio, G. Unia, Abitare le Alpi cit., nota n°20 p. 111).
Voce “lauso”(s. f.)=lastra di pietra adoperata per la copertura dei
tetti, a cura di P.A. Bruna Rosso,
S. Ottonelli in Piccolo
dizionario cit., p. 103. Voce “làuzo”(s. f.)= tegola di pietra, a cura di C. di Crosa (C. Rabo) in Ricerca di un metodo cit., p 44. Voce
“laouzo”(s. f.)=losa, lastra di pietra scistosa, a cura di G. Bernard, in Lou Saber cit., p. 226.
M. Bressy, La trinità:
sacre raffigurazioni nel saluzzese, in “Quaderni d’Arte e Storia del
Piemonte Sudoccidentale” Saluzzo (Cn), RPC, 1971, pp. 5-12. A. De Angelis Almerino, Un affresco ritrovato: la Trinità di
Rossana. Note su alcune raffigurazioni trinitarie della Val Varaita, in
“Novel Temp” n°3, Sampeyre (Cn), Associazione Soulestrelh, 1988, pp. 29-38. L. Réau, Iconographie de
l’art chrétien, Paris, Presses Universitaires de France, 1955-59, 3 vol. in
6, Tome II, pp. 22-23.
Un esempio possono essere le “meire” Spanhol. Queste baite,(grange; cfr. nota n°52 p. 28) presero probabilmente il nome dalle famiglie con cognome “Spagnolo” che qui abitavano. Nel Bollettino Parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, del novembre 1952 il parroco don Antonio Salomone scrive così: “Durante le guerre di successione di Spagna (1744) vi furono sconfinamenti di soldati spagnoli nelle nostre terre: qualcuno si fermò; fu chiamato lo “spagnolo” il nome divenne cognome così abbiamo ancor oggi tante famiglie col cognome “Spagnolo”” .
A. De Angelis,
Il Comune di San Peyre cit., p. 53.
D. Garibaldo, La lavorazione della lana e della canapa a Millaures, in “Valados Usitanos” n°74, Torino, gennaio-aprile 2003, pp. 25-31.
Voce “Rùino”= frana, a cura di C. di Crosa (C. Rabo) in Ricerca di un metodo pratico cit., p 149.
A.
De Angelis, Rore cit., pp. 54-56.
G.
Boschero, Lou bazalis varachenc, in ״Novel Temp״ n°46, Sampeyre
(Cn), Associazione Soulestrelh, 1995, pp. 24-29.