III.
I Santi.
Nei piloni votivi
le pareti laterali sono occupate dalla raffigurazione dei Santi, i quali, sono
considerati gli “intermediari” tra Dio e gli uomini, coloro che hanno
acquistato la propria credibilità con i miracoli, che hanno aiutato l’uomo
nella lotta contro la paura delle malattie e del demonio. I piloni dei secoli
passati costituiscono una testimonianza visiva della storia del sentimento
religioso del popolo devoto, della sua preghiera e delle sue invocazioni nelle
età delle grandi paure naturali e sociali.
I Santi, essendo
in gran numero, possono descrivere con maggiore ricchezza gli intenti di
devozione. Il committente, scegliendo di far raffigurare un particolare Santo,
manifesta le cause che hanno fatto desiderare l’opera, proprio perché esso è
definito protettore di eventi specifici.
Va osservato
peraltro che nei piloni processionali spesso è raffigurato il Santo patrono
della Chiesa da cui parte la processione, così come nei piloni di crocevia
molte volte vengono affrescati i Santi Patroni di paesi e frazioni a cui
conducono le strade dell’incrocio, fungendo, le immagini, da segnaletica atte
ad indicare l’itinerario verso le chiese.
In altri casi, le
immagini dei Santi, fanno riferimento all’itinerario verso Santuari locali (in Val
Grana, ad esempio, diffusa è la raffigurazione di San Magno sui piloni che si
incrociano sulla strada principale d’accesso dalla pianura al Santuario di
Castelmagno[1]).
Figure caratteristiche nei piloni posti ai bordi dei paesi e delle frazioni
sono i Santi invocati contro pestilenze e malattie portate da viandanti, come
San Rocco, Sant’Antonio Abate e San Sebastiano.
Santi patroni del
mondo agricolo sono: San Magno, San Grato, San Marco, santi ricorrenti nei
piloni rogazionali.
Numerosi sono
inoltre i santi legati alla sfera familiare come, oltre la Madonna, Sant’Anna e
San Giuseppe o Santi i cui nomi vengono ripresi da membri della famiglia che ha
fatto erigere il pilone.
Frequenti, nei
piloni analizzati, sono le raffigurazioni di San Chiaffredo, milite della
Legione Tebea, venerato a Crissolo[2]
in Valle Po (con la quale la Valle Varaita confina a nord) e patrono della
diocesi di Saluzzo e di San Bernardo d’Aosta, conosciuto nella zona come San
Bernardo di Mentone. Egli figura molto spesso sia sui piloni votivi sia sugli
affreschi murali e sulle pareti delle cappelle. San Bernardo di Mentone è
considerato il protettore di tutti i viandanti della montagna poiché aveva
incatenato i demoni che assalivano i pellegrini al passaggio dei colli.
Per meglio
interpretare il messaggio iconografico, nelle pagine successive sono presentate
delle brevi biografie di ciascun Santo e Santa incontrati nei piloni votivi
analizzati.
Agnese di Roma è
registrata nei repertori come vergine e martire della metà del III secolo[3].
Nulla è noto della sua vita anteriormente al martirio. La tradizione narra che,
ancora fanciulla, respinse le proposte del figlio del Prefetto di Roma e per
questo le venne imposto di scegliere tra il sacrificare alla Dea Vesta o
l’entrare nel gruppo delle meretrici. Agnese scelse la seconda via certa che
nessun uomo avrebbe potuto attentare alla sua purezza. In effetti così avvenne
e solo un uomo particolarmente brutale tentò di sopraffarla, ma cadde morto ai
suoi piedi. Nuovamente processata, con la preghiera ridonò vita all’uomo e
riuscì a convertire il Prefetto ed il figlio al Cristianesimo ma, accusata di
stregoneria, venne egualmente martirizzata col fuoco o più probabilmente per
decapitazione.
Il culto di Agnese
è molto antico e già Costantina, figlia di Costantino il Grande, le fece
erigere una chiesa sulla via Nomentana. Nell’iconografia la Santa è raffigurata
con l’agnello a simboleggiare l’affinità onomastica Agnese- Agna, e a ricordare
la leggenda che narra come ella apparve ai suoi genitori otto giorni dopo la
morte, accompagnata da due agnelli. Per la purezza della sua esistenza è
raffigurata circondata da candidi gigli.
La presenza di
Sant’Agnese in un’unica raffigurazione (nicchia di borgata Barra) è
probabilmente dovuta alla presenza di questo nome nella famiglia committente.
Alfonso De’Liguori
nacque a Marinella presso Napoli nel 1696[4].
Dopo aver abbandonato l’attività forense, diventò sacerdote nel 1726,
esercitando il suo apostolato in mezzo ai ceti più bassi e miseri della città e
delle campagne. Nel 1762 fu consacrato vescovo di S. Agata dei Goti, carica che
abbandonò dopo tredici anni per motivi di salute. Morì in una casa del suo
Ordine nel 1787. Canonizzato nel 1839, papa Pio IX lo dichiarò nel 1871 dottore
della Chiesa. Sant’Alfonso scrisse infatti importanti opere di ascetica e di
morale, prima fra tutte quella Theologia
Moralis , che fu, fino a tempi recenti, dottrina ufficiale cattolica nel
campo della morale e fondamentale testo di riferimento per i confessori. Alla
rigidità giansenista egli contrapponeva una concezione più indulgente e
comprensiva dell’umana fragilità. Fu autore anche di fortunate opere di
edificazione, che ebbero grande divulgazione e popolarità.
Nell’iconografia Sant’Alfonso
De’ Liguori è raffigurato vestito da vescovo con il pastorale in mano e la
mitra sul capo. Attributo principale è il rosario, secondari sono l’ostensorio
e il libro.
Sant’Alfonso De’
Liguori è presente nel “Piloun San
Guiaude” accanto a San Giovanni Bosco e San Giuseppe Cafasso.
Anna, la madre di
Maria non viene mai ricordata nei Vangeli canonici, ne parlano invece gli
apocrifi della Natività e dell’Infanzia[5].
Il Protovangelo di San Giacomo (II secolo) narra come Anna (dall’ebraico Hannāh
= Dio ha concesso la grazia) sposa del Galileo Gioacchino, dopo reiterate
preghiere ebbe la gioia della maternità in età già avanzata. Maria fu poi a tre
anni consacrata al servizio del tempio di Gerusalemme. Entrambi i genitori
morirono poco tempo dopo. Nell’iconografia è raffigurata con il manto verde, il
colore delle gemme, poiché nel suo ventre è germogliata la speranza del mondo,
Maria. Raramente è rappresentata da sola: accanto a Lei ci sono quasi sempre la
Vergine, bambina o adulta, Gesù Bambino o San Giovannino.
Anna e Gioacchino
sono il simbolo della vecchiaia dalla quale fiorisce “l’eterna gioventù della
grazia”.
Sant’Anna è
raffigurata con Maria bambina due volte (“Piloun
San Giacomo o Pian Ciariere”a Calchesio e “Piloun San Guiaude” a borgata Martini) e sola sulla parete interna
sinistra nel “Piloun meire di Dòou”.
Antonio Abate nacque
intorno al 250 a Coma nel medio Egitto, da una famiglia cristiana benestante[6].
Alla morte dei genitori si ritirò in un luogo vicino al suo villaggio per
condurre vita eremitica, dedita al lavoro, alla preghiera e alla lettura delle
Sacre Scritture.
La sua lunghissima
vita la trascorse quasi interamente nel deserto. Negli ultimi anni aveva
accolto due monaci che lo accudivano nella sua vecchiaia: morì il 17 gennaio
356 e venne sepolto in un luogo segreto per sottrarre la sua salma agli onori.
La sua vita è un tessuto di prodigi, di lotte con il demonio, che lo resero uno
dei Santi più venerati nel mondo cristiano. Antonio è l’iniziatore della vita anacoretica,
cioè della vita di solitari dimoranti nel medesimo luogo ma non legati da
regole. Si possono individuare due aspetti distinti nello sviluppo del culto
popolare tributato a Sant’Antonio: uno che si riconnette alla fama di guaritore
del Santo e l’altro che invece pone l’accento sul rapporto di tutela
intercorrente tra Sant’Antonio e gli animali. Oltre che come guaritore dell’Herpes Zoster , Antonio è invocato anche
contro la peste, lo scorbuto e altre malattie che hanno manifestazioni analoghe
al “fuoco di Sant’Antonio”. Nelle campagne è diffusissimo il culto di
Sant’Antonio, invocato come protettore degli animali domestici e
dell’agricoltura. L’iconografia di Sant’Antonio è ricchissima: generalmente è
rappresentato sotto l’aspetto di un vegliardo dalla lunga barba, avvolto
nell’ampio saio monastico, spesso ha il capo coperto dal cappuccio. Gli
attributi che più sovente accompagnano la figura di Sant’Antonio sono: il
bastone di eremita a forma di “tau” la crux
commissa degli Egiziani alla quale attribuivano il valore di simbolo della
vita futura, il maialino, il campanello e la fiamma. Il porcellino, sempre
raffigurato ai piedi del Santo, allude ad un privilegio dell’ordine ospedaliero
degli Antoniani risalente al 1095 per il quale, i monaci potevano allevare
maiali il cui lardo veniva impiegato nella cura del “fuoco di Sant’Antonio”. Il
campanello allude al suono dei campanelli che servivano ad annunciare da
lontano l’arrivo dei questuanti dell’ordine antoniano. Il fuoco rappresenta
l’herpes zoster, “il fuoco di Sant’Antonio”.
Sant’Antonio
Abate, con San Giuseppe e San Pietro è una delle figure più rappresentate sui
piloni votivi analizzati (ricorre 11 volte).
Antonio di Padova
nacque a Lisbona nel 1190-1195 ca. da una nobile famiglia portoghese[7].
A quindici anni aveva indossato la veste del noviziato nel monastero
agostiniano di San Vincenzo a Lisbona, si trasferì poi a Coimbra dove studiò
scienze e teologia, nel 1219 fu ordinato sacerdote. Attirato dalla vita
semplice e povera di alcuni francescani presenti nella chiesetta di
Sant’Antonio Abate sul monte Olivares, decise di entrare nel romitorio dei
Minori. Partì, in seguito, per l’Africa per recarsi a fare vita missionaria, ma
durante il viaggio si ammalò. Costretto a ritornare in patria per farsi curare,
il veliero che lo trasportava spinto da venti contrari lo portò in Sicilia dove
fu curato dai francescani di Messina. Da qui risalì l’Italia fino ad Assisi
dove ebbe occasione di ascoltare San Francesco. Fra il 1223 e il 1225 pose le
basi della scuola teologica francescana insegnando nel convento bolognese di
Santa Maria della Pugliola, proseguì i suoi viaggi nell’Italia del Nord e in
Francia meridionale dove predicò contro le eresie. Ritornato in Italia ricoprì
la carica di Ministro della provincia d’Emilia fino all’anno precedente la
morte. Malato ed affaticato si ritirò nel padovano ospite dell’amico conte Tiso
di Camposanpietro, il quale testimoniò di aver visto Sant’Antonio sorreggere
estaticamente il Bambino Gesù. Morì a Padova il 13 giugno 1231. I primi
caratteri iconografici di Antonio sono derivati da quelli di San Francesco: il
saio, il libro sorretto dalla mano sinistra, il volto giovanile e glabro. In
seguito, col passare dei secoli, si aggiungono nuovi elementi, come la fiamma,
simbolo dell’amore divino (XIV secolo); il ramo di giglio simbolo di purezza
(XV secolo), il Bambino Gesù tra le braccia, allusione al fatto miracoloso
testimoniato dal conte Tiso (XVI-XVII secolo). Sant’Antonio è protettore delle
messi, delle fanciulle da marito, degli orfani e dei bambini. Il Santo viene
inoltre invocato nelle più varie necessità della vita.
Sant’Antonio di
Padova è raffigurato su tre piloni votivi, “Piloun Ro di Baro”, “Piloun dla
pauzo dal Quiot”, “Piloun Champanez”.
Secondo la più
antica biografia del Santo, contenuta in un panegirico i cui manoscritti
risalgono al XII-XIII secolo, Bernardo, arcidiacono d’Aosta (di Mentone o di
Mont-Joux), nacque da nobile famiglia valdostana agli inizi del XI secolo[8].
Il suo zelo apostolico lo condusse a predicare fino a Novara e Pavia. Morì a
Novara il 12 giugno 1081. Patrono dei montanari ed alpinisti è diventato
celebre per aver fondato l’ospizio in cima al colle del Gran San Bernardo (dubbia
quella del Piccolo San Bernardo) e per aver dato il suo nome ai cani che
portano soccorso a chi si trova in difficoltà sulle Alpi.
Rare e non
anteriori al XV secolo le raffigurazioni di San Bernardo (in abito bianco e
pastorale): tutte, però, pongono in grande rilievo i suoi più comuni attributi.
Il più frequente è la croce a forma di “alpenstok” che ricorda ai fedeli la
protezione esercitata dal Santo su tutti i viandanti della montagna. Assai
comuni sono anche la torre con una sola finestra, che rievoca la fuga di San
Bernardo dalla torre in cui era stato rinchiuso dal fratello, e il demonio
incatenato, posto a simboleggiare la sua vittoria sui malvagi spiriti delle
cime alpine.
Fra gli attributi
più recenti figurano una piccozza, un paio di sci e uno dei cani che del Santo
presero il nome.
San Bernardo
d’Aosta è raffigurato su tre piloni votivi, “Piloun Misoun-Quioupàn”, “Piloun meire
Couloumbiero”, “Piloun San Bernard ‘l viei”.
Notizie di San Bernardo di Chiaravalle, abate e dottore della
Chiesa, si hanno oltre che dalle sue opere anche dalle Vitae scritte nel XII secolo[9]. Nacque
presso Digione, nel 1090 da famiglia di buona aristocrazia, nel 1112, con
trenta persone della sua famiglia, entrò a Cîteaux. Dopo soli tre anni, per la
sua virtù ed austerità, fu scelto come abate di una nuova fondazione, carica
che ricoprì per trentotto anni. Nel 1115, con un gruppo di dodici monaci
benedettini, fondò il monastero di Clairvaux (Chiaravalle). Morì nel 1153 dopo
aver fondato ben sessantotto monasteri. Pochi Santi seppero accomunare due
qualità considerate antitetiche: l’azione ed il misticismo. La prima vide
Bernardo sempre in prima fila, ascoltato e seguito da re ed imperatori, da papi
e vescovi nelle lotte contro le eresie, nell’organizzazione della seconda Crociata
da lui predicata per tutta Europa, nella riforma austera della Regola
benedettina, nella predicazione. Il misticismo ha in lui un campione di umiltà
e di mitezza, di fervido ottimistico progresso spirituale nell’amore di Dio e
nell’esercizio della carità. Fu chiamato Doctor
mellifluus, ad indicare la dolcezza che “fluiva dolce come il miele” dalle
sue parole e dalle sue azioni. Fu particolarmente devoto alla Madonna, per la
quale lasciò un inno: Ave Maris Stella. Fu santificato da Alessandro III nel
1174.
Nell’iconografia è raffigurato con il saio bianco e la tonsura,
tra gli attributi, meno frequenti, ricorrono: gli strumenti della Passione e
una ruota che ricorda una leggenda secondo la quale Bernardo avrebbe costretto
il demonio a riparare il suo carro. Più frequenti: un cane bianco, a ricordo di
un sogno profetico fatto dalla madre, una mitra deposta ai suoi piedi , spesso
appoggiata su un libro, simboleggiante il rifiuto opposto da Bernardo alla
dignità episcopale, il pastorale abbaziale; un alveare, ad illustrare la
denominazione di Doctor mellifluus,
ed infine un’ostia che il Santo presenta al duca di Aquitania, scomunicato per
aver parteggiato per l’antipapa Anacleto contro Innocenzo II.
Molte volte la
devozione e la fama di San Bernardo di Chiaravalle, sostituiscono
nell’iconografia popolare San Bernardo d’Aosta. È il caso delle raffigurazioni
di questo Santo nei piloni: “Piloun Se’d’
Raie”, “Piloun meiro di Duèo”.
Le fonti
letterarie e documentarie finora note che at
Secondo la
narrazione, nel IV secolo l’Imperatore Massenzio recatosi ad Alessandria
d’Egitto, dove, per celebrare un grandioso sacrificio, ordinò che tutti i
sudditi, ricchi e poveri, immolassero tori ed uccelli agli Dei. Caterina,
bellissima principessa, già votata alla fede cristiana, si recò al tempio per
rincuorare i cristiani e incitarli alla resistenza. Giunta davanti all’Imperatore
lo accusò di adorare il falso e di essere disposta a sostenere le sue
affermazioni davanti a qualsiasi sapiente.
Massenzio, comandò
che fosse condotta al palazzo, e dopo averle rivolto domande rituali, le
propose di sacrificare. Al rifiuto della giovane convocò retori e filosofi per contrastarla
ma questi rimasero privi di risposte alle sue parole e conseguentemente, dopo
essersi convertiti al cristianesimo, vennero mandati a morte.
A questo punto, l’Imperatore,
dopo aver tentato, invano, di sedurla con offerte di matrimonio e di ricchezze,
la fece rinchiudere in una prigione, dove fu nutrita da una colomba e visitata
da Gesù e dagli angeli. Sconcertato Massenzio, dopo nuovi rifiuti, su consiglio
del prefetto Cusarsate, ordinò di sottoporla al supplizio delle ruote
appuntite. Ma Caterina fu salva per l’intercessione di un angelo e le ruote
stritolarono una moltitudine di soldati pagani. Dopo la conversione
dell’Imperatrice e di Porfirio, ufficiale di corte, al cristianesimo, Caterina
venne condotta nel deserto e decapitata; ma, appena compiuta l’esecuzione,
arrivarono degli angeli che portarono il suo corpo sul monte Sinai (305) dove,
in seguito, sorgerà un convento.
L’iconografia di Caterina
si svolge in pieno accordo con le fonti letterarie e parallelamente al culto. Gli
strumenti del martirio (ruota e spada) e i segni della regalità e della
saggezza (corona e libro) della vergine alessandrina sono serviti in ogni tempo
a caratterizzarla: essi acquistano un assoluto valore distintivo solo nel tardo
Medioevo, allorché il culto isola, elevandoli a simboli, alcuni attributi e
l’iconografia della Santa raggiunge maggiore individualità.
Santa Caterina è
raffigurata nel “Piloun dal Quiot” e
nel “Piloun meiro di Bianc”.
L’esistenza di
Santa Costanza in un’unica raffigurazione (“Piloun
San Guiaude” a borgata Martini) è probabilmente dovuta alla presenza di
questo nome nella famiglia committente[11].
L’affresco è molto deteriorato nella porzione centrale, non si riesce a capire
di quale Costanza si tratti, l’unico indizio è dato dal nome scritto sotto la
figura. La Santa è raffigurata senza attributi del martirio e senza corona (che
la ricondurrebbero a Santa Costanza d’Aragona), quindi può essere identificata
sia con Costanza di Vercelli, sia con Costantina figlia di Costantino Magno.
Costanza di Vercelli[12]. E’ associata a Santa Esuperia. Entrambe
monache vissero nella prima metà del VI secolo, prima della discesa di Alboino,
in virtù e santità. Furono sepolte insieme nella basilica di Sant’Eusebio a
Vercelli.
Costanza (Costantina)[13]. Secondo le testimonianze storiche,
Costanza, figlia di Costantino Magno, fu donna astuta ed intrigante. Sposa di
Annibaliano prima e di Gallo poi, visse ad Antiochia fino alla morte nel 354,
in seguito fu trasportata a Roma e sepolta nel mausoleo della via Nomentana, presso
la basilica di Sant’Agnese, che aveva fatto costruire tra il 337 e il 350.
Nelle leggende
agiografiche, invece, Costanza fu associata alla martire romana Agnese e
presentata come Vergine consacrata a Dio e Santa, che convertì al Cristianesimo
Attica e Artemia, figlie dell’ufficiale pagano Gallicano.
San Francesco è
uno dei Santi più noti ed amati di tutta la cristianità[14].
Nacque ad Assisi
nei primi anni del 1182, da madonna “Pica” e Pietro Bernardone, facoltoso
commerciante di stoffe. Nel 1205 partì per la guerra in Puglia; in seguito
abbandonò le truppe e ritornò ad Assisi. Nel 1206 si convertì alla povertà e
rinunciò, davanti al vescovo, ai beni paterni; nel 1210 a Roma ricevette da
papa Innocenzo III l’approvazione verbale alla Regola dei Frati Minori. Nel
1220 rientrò in Italia, dopo un viaggio in Egitto ed il martirio di alcuni suoi
compagni; intanto Onorio III approvava ufficialmente la nuova Regola.
Nel 1224 Francesco
ricevette le stigmate sul monte della Verna; ammalato, trascorse due mesi a S.
Damiano, nel convento di S. Chiara, e qui compose il Cantico di Frate Sole. Il 3 ottobre 1226 morì alla
Porziuncola o Santa Maria degli Angeli. Nel 1228 Gregorio IX lo proclamò Santo.
San Francesco è
raffigurato vestito con il saio e la tonsura sul capo nell’atto di mostrare le
stigmate e la piaga nel costato, alle volte viene raffigurato circondato da
animali, soprattutto il lupo di Gubbio e gli uccelli.
Stupisce il basso
numero di riproduzioni del Santo: solamente una nel “Piloun meire Couloumbiero”, oltre tutto dubbia perché di difficile
lettura.
Giacomo[15],
nativo di Betsaida, figlio di Zebedeo e Salomone, fratello di Giovanni
l’Evangelista, è detto il Maggiore per distinguerlo dall’omonimo apostolo e
cugino del Signore (S. Giacomo il Minore). Fu chiamato all’apostolato insieme
al fratello nella primavera o estate del 28 d.c. e partecipò a tutte le tappe
più significative della vita pubblica di Cristo. Secondo gli atti degli
Apostoli, Giacomo, messosi a predicare il Vangelo, venne martirizzato nel corso
delle persecuzioni di Erode Agrippa nel 42. La tradizione vuole che prima di
essere ucciso, Giacomo si fosse recato in Spagna per diffondere la parola di
Cristo. Il suo corpo sarebbe poi stato trasportato in Spagna e ritrovato dopo
molti secoli, nel 830 ca., in una località della Galizia per la miracolosa
indicazione di una stella. Il luogo, detto Campus
Stellae, divenne la città di Compostella. Il ritrovamento servì da
incitamento e motivazione agli lberici per combattere le invasioni dei Mori
infedeli, San Giacomo, infatti, fu da subito considerato patrono della Spagna e
campione della guerra contro i mussulmani.
A Compostella
sorse il famoso santuario di Santiago (Jago è il nome spagnolo di Giacomo),
meta frequentatissima dai pellegrini di tutta Europa sin dal Medioevo.
Nelle immagini del
Santo più antiche, Giacomo è raffigurato come apostolo, in piena maturità, la
barba fluente, con toga e mantello, talvolta con in mano il rotulo, il libro o
la spada con cui fu decapitato. Man mano che in Occidente prevale la leggenda
di Giacomo pellegrino, evangelizzatore della Spagna e martire, le
raffigurazioni in cui il Santo appare con la bisaccia, il bordone, il
rocchetto, il cappello ornato da conchiglie (uno degli attributi più frequenti)
si sostituiscono a quelle di San Giacomo apostolo. Proprio la conchiglia sarà
il distintivo di tutti i pellegrini diretti a Santiago. Le raffigurazioni più
caratteristiche della leggenda spagnola di Giacomo sono quelle che lo
rappresentano come un cavaliere, simile a San Giorgio o ad altri santi
guerrieri.
San Giacomo
Maggiore è raffigurato su cinque piloni votivi.
Nel “Piloun San Giacomo o Pian Ciariere” di
Calchesio il San Giacomo rappresentato, riportato come San Giacomo Minore[16],
presenta gli attributi di San Giacomo Maggiore.
La genericità
dell’unica raffigurazione riscontrata (“Piloun
dla pauzo dal Quiot” borgata Barra) non permette di associare questo nome a
nessuna delle almeno nove S. Giovanna riconosciute dalla Chiesa[17].
Probabilmente la
figura è stata voluta più per assegnare una Santa al nome di una abitante della
borgata, che non per devozione vera e propria, infatti nella religiosità locale
il culto a Santa Giovanna è del tutto sconosciuto.
Giovanni, figlio
di Zaccaria e di Elisabetta, cugina della Madonna, visse nel I° secolo in
Palestina dove, dopo un lungo ritiro nel deserto, iniziò la sua missione di
predicatore nel 28-29 d.c. lungo le rive del Giordano[18].
Qui dava un Battesimo di pentimento per la remissione dei peccati, donde il suo
nome di Battista o Battezzatore, e in tal modo battezzò Gesù. Venne mandato a
morte da Erode Antipa su richiesta di Salomé, mossa dalla madre Erodiade,
offesa dalle parole di Giovanni sulla sua anomala condizione matrimoniale.
Il Vangelo di
Matteo narra come il Battista fosse abbigliato con una veste di peli di
cammello, con una cintura di cuoio attorno ai fianchi e si cibasse di locuste e
miele selvatico. Da questo ha origine la sua iconografia: viene infatti
raffigurato a piedi nudi, con un vestito di pelli, di capra o montone, fissato alla
spalla da una fibbia e porta l’agnello crocifero, raffigurato o in un
medaglione o posato su di un libro o nell’atto di versare il suo sangue in un
calice posto ai suoi piedi. Tale raffigurazione simbolica deriva dalle parole,
con le quali il Santo salutò il Cristo che veniva al battesimo: “Ecco l’agnello
di Dio che toglie i peccati del mondo” (Giov. 1,29). Talvolta il santo regge
solo una croce di giunco a cui è unita la scritta Ecce Agnus Dei o un favo di miele a ricordare la sua vita da
anacoreta nel deserto. Quasi sempre tiene il dito indice levato e proteso in
avanti a significare la sua missione di annunciatore del Messia. San Giovanni
Battista è l’unico tra i Santi di cui si celebri la Natività e il giorno della
morte, il suo culto è molto diffuso e popolare in tutto il mondo cristiano e a
lui sono dedicate numerose cattedrali e chiese e gli sono consacrati
soprattutto i battisteri.
In questa ricerca
è presente in sei raffigurazioni.
Giovanni
Evangelista[19],
figlio di Zebedeo e Salome, fratello di Giacomo il Maggiore, fu discepolo di
Giovanni Battista. Insieme ad Andrea, fratello di Pietro, e poi con gli altri
apostoli ,seguì Gesù negli anni della predicazione. Ebbe uno speciale posto nel
collegio apostolico, una speciale intimità con Pietro e soprattutto una
speciale intimità con Gesù, tanto da definirsi “il discepolo che (Gesù)
prediligeva” (Giov. 13,23; 19,26; 20,2; 21,7,20). Fu infatti tra gli intimi che
accompagnarono Gesù nelle ore più solenni e, unico tra gli Apostoli si trovò ai
piedi della croce. Come ebbe speciale intimità con Gesù così l’ebbe con Maria,
che Gesù dalla croce gli affidò ed egli prese con sé. Secondo la tradizione
Giovanni annunciò il Vangelo nell’Asia Minore, dove resse la Chiesa di Efeso e
le altre comunità cristiane. Anche se non subì il martirio come il fratello,
adempì la profezia di Gesù di imitarlo nella passione, subendo la persecuzione
a Roma di Domiziano (95 ca.). Dopo la morte dell’imperatore tornò a Efeso dove
morì sotto Traiano, forse nel 104. Fu il più giovane Apostolo e il più longevo,
il più illuminato degli Evangelisti ed autore dell’Apocalisse.
Ha come simbolo l’aquila
e, il più delle volte, è raffigurato giovane ed imberbe rispetto ai suoi
compagni.
Nei piloni
analizzati viene frequentemente rappresentato ai piedi della croce (sulla destra)
con una coppa in mano da cui esce un serpentello o un minuscolo drago, in
ricordo della coppa di veleno che fu costretto a bere da Aristodemo, sommo
sacerdote di tutti gli idoli, narrata nella Passione
di San Giovanni. È raffigurato in tre piloni votivi: “Piloun meire Couloumbiero”,
“Piloun San Bernard ‘l Viei” e “Piloun
San Guiaude”.
Giovanni Bosco nacque
ai Becchi, frazione di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) il 16
agosto del 1815 da Francesco Bosco e Margherita Occhiena[20].
Rimasto a due anni orfano di padre, ricevette la sua educazione dalla madre e
sperimentò ben presto le prime difficoltà della vita a contatto con il
fratellastro Antonio, che non voleva che egli si dedicasse agli studi. Dopo
aver terminato le elementari ed il ginnasio, in soli quattro anni, nel 1835
poté fare la sua vestizione chiericale. Tuttavia quelli furono tra gli anni più
duri della sua giovinezza; per pagare la sua pensione come esterno, egli
dovette, la sera, applicarsi ad ogni sorta di mestieri: calzolaio, ripetitore,
garzone, caffettiere, falegname, apprendista fabbro-ferraio, sarto. Quelle
esperienze non furono inutili perché lo prepararono alla sua missione di
fondatore di scuole professionali. Nel 1841 ricevette l’ordinazione
sacerdotale. Per consiglio di San Giuseppe Cafasso, suo conterraneo e
benefattore, entrò al Convitto Ecclesiastico di Torino, per perfezionarsi in
teologia morale e prepararsi al ministero. Fu là, che iniziò la sua missione di
educatore dei giovani, sia con la parola che con numerosi scritti. Erano
ragazzi sbandati, figli di immigrati della prima rivoluzione industriale che
aveva creato miseria e delinquenza e che Don Bosco cercò di difendere anche nel
campo del lavoro. Nel 1859 gettò le basi della Congregazione Salesiana
(approvata nel 1869), scegliendo i soci tra i giovani e i chierici da lui
stesso educati nell’oratorio di San Francesco di Sales. Tuttavia non fu facile
la sua impresa: si scontrava spesso con la cautela e le diffidenze del suo
vescovo e con la politica anticlericale del governo piemontese e poi italiano,
dominato dalla massoneria. Nel 1872 fondò l’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice per l’educazione della gioventù femminile. Dopo di allora le
congregazioni e opere salesiane si diffusero in tutto il mondo. Una cura
particolare, Don Bosco, la dedicò all’editoria, basti ricordare le due case
editrici salesiane di livello nazionale, la Sei e la Elledicì. Morì il 31
gennaio 1888, fu beatificato nel 1929 e canonizzato nel 1934 da Pio XI. La
poliedricità del suo ingegno ha un riscontro nella varietà delle espressioni
dei suoi ritratti. Iconograficamente San Giovanni Bosco è rappresentato sempre come
appare nelle numerose fotografie che lo ritraggono (L’Oratorio di Don Bosco di Fedele Giraudi, economo generale dei
Salesiani).
San Giovanni Bosco
è presente in un’unica raffigurazione nel “Piloun
San Guiaude” a borgata Martini vicino
San Giuseppe Cafasso.
Giuseppe, della
stirpe di Davide, fu sposo di Maria e padre di Gesù[21].
I Vangeli di Luca e Matteo sono gli unici che parlano di Giuseppe narrando gli
episodi della nascita ed infanzia di Gesù. Dai Vangeli Apocrifi sappiamo che
Giuseppe svolgeva l’attività di falegname, a quaranta anni sposò Melena o
Escha; con la quale visse per quarantanove anni ed ebbe quattro figli. Rimasto vedovo
continuò il suo lavoro a Betlemme, qui lo raggiunse il bando del sommo
sacerdote, che adunò a Gerusalemme tutti i vedovi della Giudea, per scegliere,
tra essi, lo sposo della dodicenne vergine Maria. La scelta fu affidata al
Signore: ciascuno consegnò la propria verga che venne posta nel santuario;
quando furono ritirate da quella di Giuseppe uscì una colomba (nel medioevo gli
agiografi rielaborarono il racconto del Protovangelo
di Giacomo facendo fiorire sul bastone dei gigli), fu il segno divino della
sua elezione a sposo di Maria. Due anni dopo avvenne l’Annunciazione ed in
occasione del censimento dell’Imperatore Augusto Giuseppe si recò con Maria a
Betlemme, qui nacque Gesù. Il resto del racconto segue quello evangelico dalla
fuga in Egitto, al ritorno a Nazareth e la vita della Santa Famiglia. Giuseppe
morì all’età di centoundici anni e fu sepolto nella tomba di famiglia.
Nella pietà
popolare egli esprime l’immagine dell’uomo semplice, del lavoratore onesto e
del padre che nutre e protegge la sua famiglia. Iconograficamente è raffigurato
o con gli attrezzi da carpentiere o con il bastone fiorito o con la lanterna o
candela con cui il Santo illuminò la notte della Natività.
San Giuseppe, con
Sant’Antonio Abate e San Pietro è una delle figure più rappresentate sui piloni
votivi analizzati (ricorre tredici volte). In tutte le immagini, il Santo, è
sempre raffigurato con in mano un bastone fiorito.
Giuseppe Cafasso nacque
il 15 gennaio 1811 in Piemonte, a Castelnuovo d’Asti da una famiglia di
tradizioni patriarcali[22].
Dopo gli studi nelle scuole pubbliche di Chieri, dove dovette sopportare le canzonature
dei suoi compagni per il fragile corpo affetto da rachitismo deformante, entrò
in seminario e nel 1833 venne ordinato sacerdote a Torino. Dopo l’ordinazione
fu accolto nel Convitto Ecclesiastico. Insegnò teologia morale per ventiquattro
anni ispirandosi alle dottrine di Sant’Alfonso Maria De’ Liguori quando in
Piemonte dominavano ancora le dottrine rigoriste. Insegnò anche catechismo fra
i muratori ed i carcerati, ai quali dedicò per tutta la vita parte delle sue
giornate. Nel 1848 successe come rettore del Convitto al teologo Luigi Guala
che lo lasciò erede del suo patrimonio, che Giuseppe Cafasso spese a soccorrere
i poveri, i carcerati e le vocazioni popolari. Pur essendo il consigliere
dell’arcivescovo Fransoni nella Torino del Risorgimento, non volle mai avere
cariche onorifiche, egli aspirava solo a soccorrere i deboli e i malati ed a
consigliare ed aiutare il clero, soprattutto quello impegnato in opere di
apostolato. Morì a quarantanove anni il 23 giugno 1860, fu canonizzato da papa
Pio XII nel 1947 e nominato patrono dei carcerati. Con San Giovanni Bosco,
Giuseppe Cafasso, è uno dei tanti Santi piemontesi dell’Ottocento che hanno
rivangelizzato la società industriale nascente svolgendo una funzione di
supplenza sociale là dove mancavano istituzioni per la difesa, la cura e
l’assistenza dei più sfortunati e deboli.
San Giuseppe
Cafasso è raffigurato nel “Piloun San
Guiaude” a borgata Martini, accanto a San Giovanni Bosco.
Vescovo e patrono
di Aosta (nella cattedrale ne sono conservate le reliquie in un’urna d’argento
e rame dorato) vissuto nel V secolo tra il 450 e il 470. Sulla vita di San
Grato[23]
si hanno poche notizie storicamente fondate. Quando era ancora semplice
sacerdote rappresentò il vescovo di Aosta , Eustasio, al sinodo di Milano del
451 sottoscrivendo la lettera che quell’assemblea inviò a San Leone Magno per
condannare l’eresia di Eutiche. Eletto vescovo, prese parte ad Agauno alla
traslazione delle reliquie del martire tebeo San Innocenzo. Ma la popolarità di
San Grato risale solo al XII o XIII secolo, ed è del 1200 la Magna Legenda Sancti Grati del canonico
Jacques de Cours. Una di queste leggende racconta che San Grato con la forza
della preghiera riuscì a convogliare in un pozzo tutta la grandine di un
minaccioso temporale. Un’altra tradizione vuole San Grato di origini orientali
e lo ritiene scopritore del luogo dove Erode Antipa aveva fatto nascondere la
Nell’iconografia è
raffigurato in abito episcopale, nelle mani regge la
Su Lucia[24]
ci sono pervenute due Passiones o
narrazioni del suo martirio: la latina, molto fantasiosa, e la greca, più
antica e forse non priva di episodi reali sebbene non siano assenti elementi
leggendari. Si narra- nella Passio greca
- che Lucia, una fanciulla siracusana di illustre famiglia, si recò a Catania,
nella chiesa di Sant’Agata, con la madre gravemente ammalata, per chiedere alla
Santa il miracolo. La madre guarì e Lucia tornata a Siracusa, decise di
rinunciare al matrimonio per consacrarsi alla vita religiosa e cominciò a
distribuire tutti i suoi beni ai poveri. Accusata al consolare Pascasio come
cristiana dallo stesso fidanzato, fu arrestata e condotta al tribunale. Morì il
13 dicembre del 304. Per spiegare il patronato di Santa Lucia sulla vista, una
leggenda medioevale (che ricalca la storia di un’altra Lucia, terziaria di San
Domenico), narra che, durante il supplizio, alla martire fossero cavati gli
occhi e lei continuasse a vedere; in ciò ha origine, dal XIV secolo in poi, la
rappresentazione di Santa Lucia con un piattino in mano su cui sono posati i
bulbi oculari. Il nome di Lucia ha assunto nel tempo diversi significati: è
diventata un segno e una promessa di luce, sia la luce materiale che quella
spirituale, è il luminoso annuncio della fine delle tenebre invernali.
Solitamente è raffigurata recante in mano un bacile o un piatto contenente i
suoi occhi, altri attributi sono la palma e la lampada e meno frequenti il
libro, il calice, la spada e il pugnale che conclusero il martirio, o le fiamme.
Nei piloni
analizzati è presente in una sola pittura nella nicchia affrescata di borgata
Barra.
Il nome di
Margherita martire è frutto di un errore di traduzione della Passio greca, dove la Santa viene
chiamata Marina di Antiochia di Pisidia[25].
Con ogni
probabilità non è mai esistita, tanto che nel nuovo martirologio il suo nome
non e più citato. Tuttavia, pur essendo tantissime le Sante con questo nome, è
a lei che viene rivolto il culto e onorata la festa.
Nata ad Antiochia di
Pisidia, nel periodo del regno di Massimiano e Diocleziano, rimasta orfana in
giovane età, venne educata da una nutrice cristiana che le inculcò la dottrina
del Vangelo. Cresciuta e divenuta un’affascinante ragazza venne pretesa in
moglie o come concubina dal governatore Olibrio. Margherita si rifiutò
dichiarandosi cristiana; da quel momento divenne passibile di torture e
carcerazioni. Venne processata e ferocemente torturata con degli uncini di
ferro che le lacerarono i fianchi.
A questo punto Olibrio
rinnovò le sue richieste e, ad un nuovo rifiuto la rinchiuse in una segreta.
Qui venne tentata dal demonio apparso sotto forma di drago, circondato da
serpenti che minacciò di divorarla. Con un solo segno di croce la martire si
liberò dell’aggressore. Nelle successive tradizioni, Margherita viene
inghiottita dal drago ma riesce a liberarsi squarciando il ventre dell’animale
con un crocefisso.
Per questi motivi
viene raffigurata con una croce in mano, una corona di perle sul capo, un drago
ai suoi piedi ed è invocata dalle donne incinte per ottenere un facile parto.
Nuovamente e vanamente torturata, fu condannata alla decapitazione; alle sue
torture assistettero centinaia di persone che udendone le ultime preghiere si
convertirono al cristianesimo e per questo vennero immediatamente martirizzate.
Santa Margherita è
raffigurata in due piloni votivi: “Piloun
Ro di Baro” e “Piloun dal Quiot”.
Maria Maddalena è
il simbolo della peccatrice redenta, della donna cosciente degli errori
commessi e intenzionata a ripararli con la penitenza e il pentimento[26].
In realtà la
figura storica di questo personaggio è piuttosto confusa; nei Vangeli sono individuate
tre persone distinte, ma non troppo, sulla cui identità, spesso, è stata fatta
confusione. Si conoscono dunque tre Marie: Maria di Betania, sorella di Marta e
Lazzaro; Maria di Magdala che Gesù liberò da sette demoni e che per prima Lo
vide risorto; la peccatrice anonima che, in segno di pentimento lavò i piedi di
Cristo con le lacrime e li asciugò con i capelli.
Nella Chiesa
latina il papa Gregorio Magno fu il primo a identificarle in una sola che
chiama Maria Maddalena, mentre vengono distinte nella liturgia greca.
Di queste solo
una, Maria di Magdala, fu partecipe e testimone della passione e della resurrezione
di Cristo, ma il personaggio che maggiormente colpisce la fantasia popolare, è
certamente la peccatrice e, forse, è a lei che ricorre l’immaginazione quando
si parla di Maria Maddalena. L’iconografia di Maria Maddalena si ispira sia al
Vangelo che alla leggenda, che la vuole approdare a Marsiglia e convertire il
principe del luogo e tutta la popolazione. Oltre all’immagine della penitente
dai lunghi capelli, Maria Maddalena appare ai lati della croce con la Madonna e
San Giovanni Evangelista, oppure con il Cristo nella scena del “noli me
tangere”. Spesso è rappresentata da sola con l’attributo del vaso degli
unguenti che ricorda la sua funzione di mirrofora. Nei piloni analizzati è
presente nelle due scene della Deposizione di Cristo dalla Croce dei piloni
votivi di borgata Barra “Piloun dla pauzo
dal Quiot” e di meire Couloumbiero.
Michele è l’Arcangelo
guerriero, colui che, insieme a Gabriele l’annunciatore e Raffaele l’accompagnatore
è il simbolo di tutti i puri spiriti[27].
Di Michele parla la Bibbia, San Giovanni nell’Apocalisse lo pone a guardia del
paradiso terrestre nella descrizione dell’ultima vittoriosa e definitiva
battaglia contro Satana. Inoltre, è Michele che accompagna le anime nel giorno
del trapasso, per questo gli vengono dedicate le cappelle dei cimiteri e gli
ossari. Poiché nel giorno dei giudizio universale reggerà la bilancia del bene
e del male è stato assunto come patrono dei commercianti e di tutti i mestieri
che si servono della bilancia. La presenza dei primi santuari di Michele in
zone ad influsso bizantino conferma la provenienza di tale culto dall’ Oriente.
Sono nate tre
grandiose abbazie a lui dedicate: le Mont Saint Michel in Normandia, la Sagra
di San Michele in Valle di Susa e San Michele del Gargano in Puglia, e numerose
chiese in tutta Italia ed Europa.
Quanto detto
giustifica l’iconografia che ritrae il Santo con le ali, vestito da guerriero con
una corazza d’oro, la spada e con in mano una bilancia a piattelli, nell’atto
di trafiggere un dragone (demonio).
San Michele
Arcangelo è presente in un’unica raffigurazione nel pilone votivo da borgata Chiotti
a Misoun (“Piloun Misoun -dal Verné”).
Dai Vangeli
sappiamo che Pietro (Simone) [28],
pescatore, nacque a Betsaida in Galilea, era figlio di Giovanni e fratello di
Andrea, fu uno dei primi apostoli, dopo essere stato discepolo di Giovanni Battista.
Quando conobbe Gesù era già sposato, ma non si dice nulla della moglie (ne
parlano gli apocrifi), mentre si narra la guarigione miracolosa della suocera
(Mt. 8,14 sg.). Pietro fa parte del gruppo degli eletti con Giacomo e Giovanni
figli di Zebedeo. In lui, Gesù Cristo vide una delle colonne portanti dell’apostolato
e a lui sono rivolte le parole (peraltro con
San Pietro con San
Giuseppe e Sant’Antonio Abate è una delle figure più rappresentate sui piloni votivi
analizzati (ricorre dieci volte).
Benché Rocco sia
stato, tra la fine del XV sec. e l’inizio del XIX sec., uno dei santi più
venerati del mondo cattolico, si hanno poche notizie precise sul suo conto[29].
Lo si vuole nato a Montpellier (Linguadoca) nel XIV secolo, da dove, morti i genitori e
spartiti i suoi beni con i poveri, partì in pellegrinaggio per Roma per pregare
sulla tomba di Pietro. Lungo il cammino si imbatté in un’epidemia di peste e,
scoprendo la sua vocazione, anziché fuggire si dedicò alla cura dei malati. A
lungo si prodigò in tale opera finché, colpito dal morbo, si rifugiò lungo il
Po, nei pressi di Piacenza. Qui, fu raccolto e curato fino alla guarigione dal
patrizio Gottardo Pallastrelli ch’egli convertì con il suo esempio. Mori
imprigionato a Montpellier, secondo alcuni, o sul lago Maggiore secondo altri,
perché scambiato per una spia.
Da questa narrazione
priva di elementi cronologici precisi, derivano tutte le biografie successive,
eccetto quella che redasse nel 1478 il veneziano Francesco Diedo, governatore
di Brescia (Vita Sancti Rochi).
Il culto di Rocco
si diffuse nel Centro e nel Sud della Penisola, molti sono i comuni e le
frazioni d’Italia che portano il suo nome, e moltissime sono le chiese, le
cappelle e gli oratori a lui dedicati. L’iconografia lo ritrae in abbigliamento
da pellegrino, con la gamba ferita ed accompagnato da un cane. È protettore
contro la peste e patrono dei pellegrini e dei viaggiatori.
San Rocco è
presente in un’unica raffigurazione nel pilone votivo di borgata Chiotti (“Piloun dal Quiot”).
Di Sebastiano[30]
quello che si conosce di storico (dalla
Depositio martyrum del 354 ed da un passo di S. Ambrogio nel commento al
Salmo 118) si riduce al martirio, alla sepoltura in catacumbas, alla data della festività (20 gennaio), le altre
notizie, leggendarie, provengono dalla Passio
S. Sebastiani (metà V secolo) composta da un romano. Nella Passio si dice che Sebastiano nato a
Milano (o a Narbona) da una famiglia cristiana, entrò nelle guardie pretoriane
raggiungendo presto alte cariche. Per la sua fedeltà e lealtà divenne gradito
agli imperatori Diocleziano e Massimiano che lo chiamarono a far parte delle
guardie personali. Grazie a questa fiducia imperiale, Sebastiano poté svolgere
per molto tempo un’azione efficace in sostegno dei cristiani in carcere e di
propaganda tra le nobili famiglie e i magistrati. La sua attività prodigiosa,
ebbe notevoli successi, confortati da avvenimenti miracolosi. Questa fervida
attività cristiana non passò inosservata, sottoposto a giudizio dagli
imperatori, fu condannato a morte mediante il supplizio delle frecce.
Trasferito in un “campo”, legato nudo ad un palo, venne colpito da tante
frecce. Credendolo morto i carnefici lo abbandonarono, ma i cristiani, giunti
di notte per dargli degna sepoltura, si accorsero che era ancora vivo. Curato
riacquistò la salute e si recò al tempio di Ercole per affrontare pubblicamente
i due imperatori e per proclamare la fede in Cristo. Diocleziano lo fece
catturare ed uccidere tramite flagellazione. In seguito il suo corpo fu
seppellito presso la tomba dei SS. Pietro e Paolo sulla via Appia in catacumbas. La fama di San Sebastiano è
legata alla protezione contro la peste, fama che condivise nel Medioevo fino al
XVI secolo con Sant’Antonio, San Cristoforo,San Rocco e i Santi Ausiliatori.
Iconografia: San
Sebastiano viene solitamente raffigurato nudo legato ad un albero o ad una
colonna, trafitto dalle frecce, o, come un giovane di bel aspetto, vestito come
un cavaliere con in mano una freccia, l’attributo principale del suo martirio.
San Sebastiano è
raffigurato in due piloni votivi, ma non seguendo la tradizionale iconografia,
nel pilone tra borgata Chiotti e Misoun è rappresentato come un giovane vestito
di bianco e rosso con nella mano sinistra una freccia e nella destra la palma
del martirio. Più discutibile l’altra raffigurazione del Santo, nel pilone votivo
di Ciampanesio, frutto di un rifacimento del 1997 identificato con la scritta
“San Sebastiano”, vestito sempre di bianco e rosso con nella mano destra un
libro e nella sinistra la palma del martirio.
Apostolo di Gesù,
molti lo identificano con l’omonimo cugino del Signore più noto come Simeone[31],
fratello di Giacomo minore al quale successe come vescovo di Gerusalemme (dal
62 al 106 d.c.). Fu martirizzato sotto Traiano nel 106 d.c.. Le tradizioni
conservate nel Breviario Romano, fan
predicare Simone con San Giuda Taddeo in Egitto e Mesopotamia dove soffrirono
insieme il martirio. Nell’iconografia Simone è quasi sempre rappresentato con
gli altri apostoli nelle scene della vita e morte di Cristo e della Vergine. In
Occidente, per influsso della Legenda
Aurea , il suo martirio è rappresentato spesso in modo differente rispetto
agli Atti apocrifi degli Apostoli; non appare sgozzato ma segato in due, perciò
ha talvolta come attributo una sega.
L’esistenza di San
Simone in un’unica raffigurazione (“Piloun
dla pauzo dal Quiot” a borgata Barra) è dovuta, probabilmente, alla
presenza di questo nome in un componente della famiglia che fece affrescare il
pilone.
Vincenzo Ferrer fu
predicatore domenicano di grandissima notorietà, nacque a Valencia (Spagna) nel
1350, studiò e insegnò filosofia, logica e teologia a Valencia, Barcellona, Lérida
e Tolosa[32].
Nel 1374 fu ordinato sacerdote. Quando la Chiesa si divise nel grande scisma di
Avignone (1378-1399), Vincente Ferrer non riuscì a comprendere quale fosse la
parte giusta e, spinto dal cardinale aragonese Pedro de Luna si schierò a
fianco dei papi scismatici Clemente VII, prima, e Benedetto XIII ( Pedro de
Luna), poi. Con la sua predicazione riuscì a far aderire quasi tutta la Spagna alla
Chiesa Avignonese.
Era il 1398 quando
gli apparvero in sogno il Redentore, accompagnato da San Domenico e San
Francesco, che gli affidarono il compito di evangelizzare il mondo. Dopo questa
visione, aderì alla chiesa di Roma e dal 1399 al 1412 attraversò tutte le vie
dell’ Europa occidentale dedicandosi con incredibile energia ad una
predicazione durissima e severissima, tanto da venire in seguito raffigurato
con le ali, simbolo dell’angelo dell’Apocalisse, con una fiamma sulla fronte e
con in mano la tromba del giudizio. Ad ascoltare Vincenzo Ferrer accorrevano
folle molto numerose , i cosiddetti “disciplinati” o “flagellanti” che si
ritrovavano attorno ai grandi predicatori del Medioevo.
Si prodigò per
ristabilire l’unità della Chiesa peggiorata dopo il concilio di Pisa (23 marzo
1409), da cui uscì un terzo papa (Giovanni XXIII) e per l’unificazione della
Spagna. Morì a Vannes il 5 aprile 1419. Egli viene invocato contro i fulmini ed
i terremoti e infine si benedice l’acqua in suo onore (cfr. Rituale Romano).
Nell’iconografia,
oltre gli attributi sopra descritti, Vincenzo Ferrer viene anche raffigurato
con una banderuola o una colomba o il sole o il giglio o una bandiera (quella
dei predicatori della guerra santa che per farsi sentire utilizzavano il vento
come mezzo in grado di trasportare la voce e, per individuarne la direzione,
portavano con loro una banderuola). Altre volte viene rappresentato sul pulpito,
altre con ai piedi un cappello in ricordo del suo rifiuto delle dignità
ecclesiastiche.
San Vincenzo
Ferrer è presente in un’unica raffigurazione nel “Piloun San Bernard ‘l Viei” alla borgata Roccia.
Con il nome di
Militi della Legione Tebea[33]
si identifica un gruppo di santi martiri appartenuti appunto a tale legione dell’esercito
romano, stanziata in Svizzera nei pressi della attuale Saint – Maurice (Agaunum). Secondo la tradizione, questi
soldati, convertiti al cristianesimo, furono costretti a fuggire dalle loro
basi per non sacrificare agli Dei pagani; alcuni di loro raggiunsero le Alpi (Valli
cuneesi), ma qui vennero catturati e uccisi. Secondo i martirologi del XVII
secolo, essi sarebbero stati martirizzati nel territorio di Marsiglia presso il
Rodano, sotto l’imperatore Massimiano. I loro corpi furono scoperti dal vescovo
di Sion, Teodoro, il quale eresse loro una basilica.
La tradizione non
è però confermata da nessun dato certo, anzi, la tesi più verosimile è che il
loro culto sia stato introdotto in questa regione da Ariperto (712) re dei
Longobardi che fece costruire una chiesa abbaziale a Villar San Costanzo presso
Dronero (Cn). Sotto il nome di questi martiri della Legione Tebea si celano i
santi “Mauri”, (forse un gruppo di Mori appartenuti alla Legione), venerati a
Colonia il 15 ottobre. Nell’iconografia, i martiri della Legione Tebea sono
raffigurati vestiti da militare, alcuni a cavallo, con il vessillo e la spada.
Nel corso della
ricerca si sono incontrati:
San Chiaffredo, la leggenda, riferita da Guglielmo
Baldesano verso la fine del XVI secolo, raccontava di un Teofredo o Chiaffredo[34]
o Jafredo (in dialetto Ciâfre o Ciafré), soldato della Legione Tebea di stanza
in Gallia, fuggito in Piemonte e martirizzato a Crissolo nel 270, sotto
Diocleziano e Massimiano. Qui, nel sec. XIV, un contadino trovò un sarcofago
contenente un corpo che, dopo una rivelazione divina, venne identificato come
quello del martire Chiaffredo. Sul luogo sorse un Santuario. San Chiaffredo è
patrono della diocesi di Saluzzo.
Un’altra ipotesi
identifica San Chiaffredo con Teofredo[35],
abate del monastero di Calmiliac presso Puy- en- Velay, ucciso dai saraceni tra
il 728 e il 732 e venerato anche in Piemonte.
Nei piloni votivi
analizzati San Chiaffredo è raffigurato cinque volte.
San Defendente, le
vicende della sua vita e martirio seguono la leggenda degli altri Militi della
Legione Tebea. Di Defendente[36]
sappiamo che dal XIV sec. (1328) godeva di largo culto nell’Italia del Nord . A
Chiasso, Casale Monferrato, Novara, Lodi e in altre città e paesi se ne celebra
la festa il due gennaio e gli erano intitolati oratori, altari e confraternite.
Si invocava contro il pericolo dei lupi e degli incendi.
San Defendente è
presente in un’unica rappresentazione, nel “Piloun
San Giacomo o Pian Ciariere” a Calchesio (borgata di cui è anche patrono).
San Maurizio, dalla Passio
Martyrum Acaunensium di Eucherio, vescovo di Lione della metà del V secolo,
sappiamo che Maurizio[37]
era il capitano della Legione Tebea e, come i suoi compagni d’arme, subì il
martirio a Saint- Maurice. Si suppone che la leggenda risalga al vescovo di Octodurum (Agaunum) Teodoro, del IV secolo, che avrebbe adattato a un fatto
avvenuto nella sua città il racconto di un Maurizio, uomo d’arme, martirizzato
con settanta suoi commilitoni in una regione dell’oriente. Il culto di San
Maurizio si diffuse in Svizzera, nel Vallese (abbazia di Saint-Maurice, VI
sec.) e nei Grigioni (St. Moritz). Nel 1591 le supposte reliquie del santo
furono trasferite a Torino nella cappella della Sindone, avviandone la
devozione anche nei territori dominati dai Savoia. Già nel 1434, infatti,
Amedeo VIII di Savoia aveva fondato la “milizia di San Maurizio”, primo nucleo
del futuro ordine cavalleresco dei S.S. Maurizio e Lazzaro (Mauriziano).
Nell’iconografia,
San Maurizio si distingue dagli altri martiri della Legione Tebea per la “croce
di San Maurizio” raffigurata sul petto.
San Maurizio è
presente in un’unica raffigurazione nel “Piloun
Casa Brada” alla borgata Roccia.
San Giuliano, protettore dei bambini, venerato nella
parrocchia di Roccabruna (Cn) a lui dedicata, sorta sul luogo dove Giuliano[38]
avrebbe subito il martirio.
San Giuliano è presente in un’unica raffigurazione
nel “Piloun San Bernard ‘l Viei” alla
borgata Roccia.
San Costanzo, martirizzato (sempre secondo la tradizione
popolare) nei pressi dell’attuale omonimo santuario vicino a Dronero (Cn);
San Magno, protettore del bestiame al quale è dedicato l’imponente
santuario di Castelmagno (Cn) in Valle Grana;
Sono inoltre
conosciuti altri martiri tebei, come San Avventore, San Risolutore, San
Secondo, San Ponzio, San Sisto, San Vittore.
Il
Santuario di San Magno fu costruito nella forma attuale tra il 1704 e il 1716,
ad opera del Luganese Giuseppe Galletto ma conserva al proprio interno
documenti artistici precedenti. La Cappella Allemandi contiene affreschi della
seconda metà del XV secolo attribuiti a Pietro da Saluzzo (detto anche Pietro
Pocapaglia e Maestro di Villar), pittore attivo in tutta l’area del Marchesato.
Un’altra cappella, detta “Cappella vecchia”, fu interamente affrescata da
Giovanni Botoneri di Cherasco nel 1514. Nel Santuario è inoltre conservata una
ricchissima raccolta di ex-voto oltre interessanti opere d’arte. (Il Piemonte paese per paese, Firenze,
Bonechi, 2002, n°26. A. Ponso (a
cura di), Guida ai Santuari cit., pp. 37-38. P. Terrematte, Tesori del
Gotico. La pittura sacra nel cuneese (1400-1500), Dronero (Cn), L’Arciere,
2003, pp. 124-126).
Il
primo documento scritto sul Santuario di Crissolo risale al 1375. Ma la
tradizione vuole che sul luogo del martirio di San Chiaffredo (fine III sec.)
già nel VIII secolo vi sorgesse una cappella, fatta restaurare dal Longobardo
Ariperto II. L’attuale costruzione è frutto di successive modifiche: il corpo
centrale della chiesa risale al XV-XVI, la facciata, neogotica, è dell’inizio
del XX secolo. Nell’interno si possono ammirare molti ex-voto, frammenti della
pietra tombale del Santo e l’urna contenente alcune sue reliquie. A. Ponso (a cura di), Guida ai Santuari
cit., pp. 53-54. C.F. Savio, Una lapide antica nel Santuario di Crissolo,
Saluzzo (Cn), Chiantone-Mascarelli, 1901.
Cfr. L. Réau,
Iconographie de l’art chrétien, cit.,
Tome III, pp. 33-38. Agnese,
santa, martire di Roma. Voce a
cura di Enrico Josi (biografia
pp. 382-407) e Renato Aprile (iconografia
pp. 407-411), in Bibliotheca Sanctorum,
Roma, Città Nuova Editrice, 1962-69 (ristampa 1988), vol. I. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 36-39.
De Sancta Agnete, Iacopo da Varazze.
Legenda Aurea, edizione consultata a cura di G. P. Maggioni, Firenze, SISMEL edizioni del Galluzzo, 1998,
vol. I, cap. XXIV, pp. 169-173.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, p. 56. Alfonso De’Liguori, Voce a cura di Clemens Henze (biografia
pp. 837-859), Pietro Palazzini (pensiero
teologico pp. 860-861) e Sandra Orienti (iconografia p. 861), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. I. Cappa Bava, S. Jacomuzzi, Del come riconoscere i Santi, Torino, Società
Editrice Internazionale, 1989, pp. 170-171.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 90-96. anna, madre di Maria Vergine, santa. Voce a cura di Gian Domenico Gordini (biografia pp.
1269-1276) e elena croce ( iconografia pp. 1276-1295), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. I. A. Cattabiani, Santi
d’Italia cit., pp. 76-79.
[6] Cfr. L. Réau,
Iconographie de l’art chrétien cit.,
Tome III, pp. 101-115. Antonio, Abate, santo. Voce a cura di Filippo
Caraffa (biografia pp. 106-114),
Aurelio Rigoli (folklore pp. 114-121) e Maria Cirmeni Bosi (iconografia pp. 121-136),in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. II. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 105-110. De Sancto Antonio, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
I, cap. XXI, pp. 155-160.
Cfr. L. Réau,
Iconographie de l’art chrétien cit.,
Tome III, pp. 115-122. Antonio di
Padova, santo. Voce a cura di Gaetano Stano (biografia pp. 156-179), Maria Letizia Casanova (iconografia
pp. 179- 186) e Aurelio Rigoli (folklore
pp. 186-188), in Bibliotheca Sanctorum
cit., vol. II. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 110-115.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome iii, pp. 206-207. Bernardo, arcidiacono di Aosta
(di Mentone o Mont-Joux), santo. Voce a cura di Jean-Baptiste Villiger (biografia pp.
1325-1332) e Renato Aprile (iconografia
pp. 1332-1333),in Bibliotheca Sanctorum
cit., vol. ii. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 174-177.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome iii, pp. 207-217. Bernardo di Chiaravalle,
santo, Dottore della Chiesa. Voce a cura di Piero Zerbi (biografia
pp. 1-37) e Maria Chiara Celletti (iconografia
pp. 37-41),in Bibliotheca Sanctorum
cit., vol. III. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 167-173.
De Sancto Bernardo, Iacopo da Varazze.
Legenda Aurea, edizione consultata a cura di G. P. Maggioni cit., vol. II, cap. CXVI, pp. 811-826.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 262-272. Caterina di Alessandria,
santa, martire. Voce a cura di Dante
Balboni (biografia pp. 954-963), Giovanni
B. Bronzini (iconografia pp. 963-975) e
Maria Vittoria Brandi (folklore e letteratura popolare pp. 975-978), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. III. A.
Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp.
229-233. De Sancta Katherina, Iacopo da
Varazze. Legenda Aurea, edizione
consultata a cura di G. P. Maggioni
cit., vol. II, cap. CLXVIII, pp.
1205-1215.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, p. 340. A. Cattabiani, Santi
d’Italia cit., p. 39.
Costanza
di Vercelli, santa. Voce a cura
di Ercole Crovella in Bibliotheca
Sanctorum cit., vol. IV, pp. 256-257.
Costanza (costantina),
Attica e Artemia, sante. Voce a cura di Agostino Amore in Bibliotheca
Sanctorum cit., vol. IV, pp. 257-259.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 516-535. Francesco
da
Assisi, fondatore dei tre ordini
Francescani, santo. Voce a
cura di Lorenzo di Fonzo
(biografia pp. 1052-1111) e Alfonso
Pompei (iconografia pp.
1111-1131) in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. V. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 395-450. De
Sancto Francisco, Iacopo da
Varazze. Legenda Aurea, edizione
consultata a cura di G. P. Maggioni
cit., vol. II, cap. CXLV, pp.
1016-1032.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, p. 690-702. Giacomo
il
maggiore, apostolo, santo. Voce a cura di Roberto Plotino (biografia pp. 363-364) e Justo Fernàndez Alonso (culto e iconografia pp. 364-388), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VI. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp.
481-488. De Sancto Iacobo Apostolo, Iacopo
da Varazze. Legenda Aurea, edizione
consultata a cura di G. P. Maggioni
cit., vol I, cap. XCV, pp. 650-662.
San Giacomo
Minore. Fratello dell’apostolo Giuda Taddeo, cugino del Signore. Governò
la chiesa di Gerusalemme fino al 62 d.c., quando fu martirizzato dal sommo
sacerdote Hanan II. San Giacomo Minore è rappresentato con un bastone da
battilana nella mano ad indicare l’arma con la quale fu ucciso dopo essere
stato gettato dal pinnacolo del Tempio a Gerusalemme. Talvolta è raffigurato in
abiti vescovili a ricordo del suo episcopato in Gerusalemme. È spesso associato
a San Filippo.
Cfr. L. Réau, Iconographie de
l’art chrétien cit., Tome III, p. 702-704. Giacomo il Minore, apostolo, santo. Voce a cura
di Roberto Plotino (biografia pp.
401-410) e Antonietta Cardinali (iconografia
pp. 410-411), in Bibliotheca Sanctorum cit.,
vol. VI. De Sancto Iacobo Apostolo, Iacopo
da Varazze. Legenda Aurea, edizione
consultata a cura di G. P. Maggioni
cit., vol. I, cap. LXIII, pp.
446-458.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, p. 740. Giovanna moglie di Chuza, santa. Voce a cura di Francesco Spadafora in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VI, p.
555. Di questa Santa ne parla soltanto San Luca (Lc. 8,2 e 24,10). Giovanna fa
parte delle pie donne facoltose che grate per la guarigione ricevuta, seguono
Gesù per la Galilea e se ne prendono cura. Giovanna è nominata ancora tra le
pie donne che si recano al sepolcro con unguenti per completare la sepoltura
del Salvatore, diventando così le prime testimoni della sua gloriosa
resurrezione.
Cfr. L. Réau,
Iconographie de l’art chrétien cit.,
Tome II, cap. VI, pp. 431- 463 (Baptême de Christ);
p. 298 (iconographie du Nouveau Testament). Giovanni Battista,
santo. Voce a cura di Tarcisio Stramare
(biografia pp. 599-616) e Antonietta
Cardinali (iconografia pp. 616-624), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VI. A. Cattabiani, Santi
d’Italia cit., pp. 493-501. De Sancto Iohanne Baptista, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni, cit., vol.
I, cap. LXXXIV, pp. 540-551 e De decollatione Sancti Iohannis Baptiste,
vol. II, cap. CXXI, pp. 873-885.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 708-720. Giovanni
Evangelista, apostolo, santo. Voce a cura
di Pier Carlo Landucci (biografia
pp. 757-785), Francesco Spadafora (tradizione
e culto pp. 785-790) e Maria Chiara
Celletti (iconografia pp. 790-797), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VI. A. Cattabiani, Santi
d’Italia cit., pp. 501-508. De Sancto Iohanne Evangelista, Iacopo da
Varazze. Legenda Aurea, edizione
consultata a cura di G. P. Maggioni, cit.,
vol. I, cap. IX, pp. 87-96.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, p. 736. Giovanni
Bosco, santo. Voce a cura di Eugenio Valentini in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VI, pp.
968-985. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 511-517.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 752-760. Giuseppe, sposo di Maria Vergine e padre putativo di Gesù,
santo. Voce a cura di Tarcisio Stramare
(biografia pp. 1251-1287) e Maria
Letizia Casanova (iconografia pp. 1287-1292), in Bibliotheca Sanctorum cit. vol. VI. A. Cattabiani, Santi
d’Italia cit., pp. 545-550. Nella
Legenda Aurea si parla di San Giuseppe quando si racconta dell’avvenimento del
tempio, quando fu scelto come marito di Maria. Iacopo da Varazze.
Legenda Aurea, edizione consultata a cura di G. P. Maggioni, cit., vol. I, cap. I, pp. 5-14.
Cfr. Giuseppe
Cafasso, santo. Voce a cura di José Cottino in Bibliotheca Sanctorum cit.,
vol. VI, pp. 1317-1321. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 513-514.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 605-606. Grato, vescovo di Aosta,
santo. Voce a cura di Ercole Crovella in
Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VII,
pp. 156-158. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 568-572.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 833-836. Lucia, santa, martire di Siracusa.
Voce a cura di Agostino Amore (biografia
pp. 241-252) e Maria Chiara Celletti (iconografia
pp. 252-257), in Bibliotheca Sanctorum cit.,
vol. VIII. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 632-637. De Sancta Lvcia, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
I, cap. IV, pp. 49-52.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 877-882 ; p. 891 (Marina). Marina (Margherita), santa, martire di Antiochia di Pisidia. Voce a cura di Joseph-Marie Sauget (biografia pp. 1150-1160) e Maria Chiara Celletti (iconografia pp. 1160-1165), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. VIII. De Sancta Margarita, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
I, cap. LXXXIX, pp. 616-620. Cfr.
anche De Sancta Margarita dicta Pelagivs,
vol. II, cap. CXLVII, pp. 1036-1037 e De
Sancta Marina Virgine, vol. I, cap. LXXIX, pp. 534-535.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 846-859. Maria
Maddalena, santa. Voce a cura di Victor Saxer (biografia pp. 1078-1104)
e Maria Chiara Celletti (iconografia
pp.1104-1107), in Bibliotheca Sanctorum
cit., vol. VIII. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 693-697. De Sancta Maria Magdalena, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
I, cap. XCII, pp. 628-642.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit.,
Archanges–Iconographie de l’Ancien Testament, pp. 44-51. Michele, arcangelo, santo. Voce a cura di Francesco Spadafora (nelle Sacre
Scritture pp. 410-416) e Maria Grazia
Mara (culto ed iconografia pp.
416-446), in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. IX.
A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 720-725. De Sancto Michaele, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
II, cap. CXLI, pp. 986-1001.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 1076-1100. Pietro, apostolo, santo. Voce a cura di Angelo Penna (biografia pp. 588-612), Dante Balboni (culto pp. 612-639), Mariella Liverani e Giovanni Fallani (iconografia pp.
640-650), in Bibliotheca Sanctorum cit.,
vol. X. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit.,
pp. 795-799. De Sancto Petro Apostolo, Iacopo
da Varazze. Legenda Aurea, edizione
consultata a cura di G. P. Maggioni
cit., vol. I, cap. LXXXIV, pp.
559-575.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 1155-1161. Rocco, santo. Voce a cura di André Vaucher in Bibliotheca
Sanctorum cit., vol. XI, pp. 264-272. A. Cattabiani,
Santi d’Italia cit., pp.
819-823.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 1190-1199. Sebastiano, santo, martire di Roma.
Voce a cura di Gian Domenico Gordini (biografia
e culto pp. 776-789) e Pietro Cannata (iconografia
pp. 789-801), in Bibliotheca Sanctorum
cit., vol. XI. A. Cattabiani, Santi d’Italia cit., pp. 853-858. De Sancto Sebastiano, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
I, cap. XXIII, pp. 162-168.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 1223-1225. Simone, apostolo, santo. Voce a cura di Francesco Spadafora (biografia pp.
1169-1173) e Antonietta Cardinali (iconografia
pp. 1173-1174), in Bibliotheca Sanctorum
cit., vol. XI. De Sanctis Symone et
Ivda, Iacopo da Varazze. Legenda
Aurea, edizione consultata a cura di
G. P. Maggioni, cit., vol. II, cap.
CLV, pp. 1079-1087.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 1330-1332. Vincenzo
Ferrer, santo. Voce a cura di Sadoc M. Bertucci in Bibliotheca
Sanctorum cit., vol. XII, pp. 1168-1176. D. Barbero, I piloni cit.,
p. 149.
Cfr. D. Barbero,
I piloni cit., pp. 161-162.
Chiaffredo
di Saluzzo, santo. Voce a cura di Carla
Sisto in Bibliotheca Sanctorum cit.,
vol. III,
pp. 1200-1201.
Cfr. L. Réau, Iconographie de
l’art chrétien cit., Tome III, p. 290 (Chaffré du
Velay ou du Monastier).
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, p. 371. Defendente e compagni, santi, martiri. Voce a cura di Pietro Burchi in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. IV, pp. 528-529.
Cfr. L. Réau, Iconographie de l’art chrétien cit., Tome
III, pp. 935-939. Maurizio. Voce a cura di Rudolf
Henggeler (biografia pp. 194-204) e Maria
Chiara Celletti (iconografia pp. 204-205) in Bibliotheca Sanctorum cit., vol. IX. De Sancto Mavritio et sociis svis, Iacopo da Varazze. Legenda Aurea, edizione consultata a
cura di G. P. Maggioni cit., vol.
II, cap. CXXXVII, pp. 965-970.
Cfr. D. Barbero, I piloni cit., pp. 161-162. Di San Giuliano martire della Legione Tebea non si ha alcuna notizia nella Bibliotheca Sanctorum.