1.    Definizione e funzione dei piloni votivi.

 

In Piemonte[1] con il termine “pilone”[2] si designa una piccola costruzione in muratura (pietra o mattoni) a sezione quadrata o rettangolare (raramente triangolare o trapezoidale), con una nicchia ricavata a proteggere degli affreschi di carattere religioso, (la Madonna, Gesù Cristo, i Santi, la Trinità, Dio Padre), con una copertura a due falde (a pietra o a coppi) sormontata da una croce.

Tali edicole, a struttura verticale, edificate isolatamente su terreni privati, erano erette per corrispondere ad istanze precise di singole famiglie o della collettività. Esse potevano essere costruite nei luoghi che stabilivano confini tra i comuni e gli stati , su spartiacque vallivi, nel caso di una divisione territoriale tra privati, oppure alla confluenza di strade con antichi percorsi di pellegrinaggio. Le più antiche si ergevano spesso agli incroci delle vie, inserite nella rete viaria creata dai Romani, concepite come attestazione del carattere sacro del confine. Il luogo poteva anche essere scelto in relazione al facile accesso al sito o per la presenza nello stesso punto di precedenti segni di sacralizzazione o di un preesistente pilone ormai in rovina. Alcuni oratori sorgevano come mezzo per esorcizzare il luogo da presenze maligne, altri ancora venivano edificati nei secoli delle grandi epidemie e carestie (dal XV al XVII secolo) come ex-voto, come preghiera per sconfiggere le tante paure che tormentavano la vita quotidiana.

All’origine dell’edificazione di un’edicola votiva c’è, quindi, sia una volontà popolare, sia l’atto di una collettività rurale, contadina o artigiana, sia l’esigenza di singole famiglie di costruire un “pilone” per adempiere a voti fatti in momenti particolarmente difficoltosi (per una guerra, una malattia, un incidente ecc.), o anche in ringraziamento per un lieto evento, o in memoria di qualche caro defunto.

Questi segni di pietà personale e spontanea, potevano anche assumere riferimenti più precisi, “pubblici”, diventando mete o tappe processionali, meta di un percorso festivo in occasione di feste patronali, tappa di adorazione durante la processione del “Corpus Domini”, tappa di posa del feretro di parrocchiani defunti in borgate o casolari troppo distanti dalla parrocchia, meta di processioni rogazionali[3].

Solo in rare occasioni sul pilone votivo è riportata la spiegazione delle ragioni che ne determinarono la costruzione, mentre per la maggior parte dei casi le informazioni si riescono ad acquisire solamente attraverso le testimonianze orali, con tutti i limiti che ne derivano (per difficoltà di raccolta, attendibilità ecc.).

La maggior parte dei piloni rimane comunque di carattere e proprietà privata e il loro mantenimento trasmesso di generazione in generazione.

Nel caso in cui il pilone votivo assolva ad una funzione “pubblica” sono le famiglie della borgata che ne curano la manutenzione.



[1]

Vittorio di Sant’Albino, alla voce “pilon” designa un “pilastro isolato, di forma irregolare, che talvolta trovasi accanto alle strade, ove vedesi dipinta internamente ed esternamente e venerasi qualche immagine sacra: cappelletta”. (V. di Sant’ Albino, Gran dizionario piemontese-italiano, Savigliano (Cn), L’Artistica, 2000, p. 895). Camillo Brero, alla voce “pilion”=pilone (sm):“pilon–pilonèt” designa una “edicola, cappellina, nicchia dipinta con immagini di Santi che si trova lungo le strade (specie di campagna). Pilastro, grosso pilastro”. (C. Brero, Vocabolario italiano- piemontese,piemontese- italiano, Savigliano (Cn), Il Punto, Piemonte in bancarella, L’Artistica, 2001, p. 706). Nella lingua locale della Val Varaita troviamo il termine “Pilhoun” a Rossana (D. Barbero, I piloni e le pitture murali di Rossana, supplemento al Novel Temp n°42, Sampeyre (Cn), Ass. Soulestrelh, cartular des valàdes, maggio 1993), “Piloun” nella vicina Elva (P.A. Bruna Rosso, s. Ottonelli (a cura di), Piccolo dizionario del dialetto occitano di Elva, Cuneo, Valados Usitanos, 1980, p. 127) e “Pilùn” a Sampeyre (C. di Crosa. (C. Rabo), Ricerca di un metodo pratico per comprendere e scrivere facilmente il patuà sampeyrese, Scarnafigi (Cn), casa editrice 3C, 1982, p. 59 e p. 207). Nel vallone di Bellino è usato il termine “Pilastre” e “Oratori” (G. Bernard, Lou Saber. Dizionario enciclopedico dell’occitano di Blins, Venasca (Cn), Ousitanio Vivo, 1996, p 297 e p. 322.).

[2]

La denominazione di tali edicole votive varia a seconda delle Regioni: si parla di “Piloni”, Edicole sacre e altrove di “Capitelli” (Veneto) o ancora di “Calvari” (Calabria, quando l’edicola ha per immagine il Crocifisso), “Madonnelle” (Lazio), “Maestà” (Lombardia). Con il termine “edicola” (lat. aedes = tempio, aedicula = tempietto) si intende una costruzione già più articolata e di maggiori dimensioni. (Cfr. Piloni votivi nel doglianese, Scuola media Statale “Luigi Einaudi”, Museo Storico Archeologico “Giuseppe Gambetti”, Dogliani (Cn), 1998, p. 10).

[3]

 Processioni penitenziali cattoliche di propiziazione per il buon esito delle semine e dei raccolti, celebrate con apposita liturgia e con il canto delle litanie, il 25 aprile e tre giorni prima dell’Ascensione.

       

 

 

 

 

                                       TORNA ALL' INDICE                                        CAPITOLO SUCCESSIVO